Ho tirato via la zip della borsa e buttato l'occhio sulla punta delle scarpe. L'auto attende nel parcheggio e spingo il carrello. Penso alle mie scarpe ed alla polvere che c'è sulla punta. Ho le chiavi in mano e ci giocherello. Sento una voce.
Le parole spuntano fuori dal nulla e mi sfiorano il timpano in un sussurro.
Mi stai chiedendo il carrello. Ti vorrei dire di no, perché è sempre così che rispondo. No. Detto secco, chiaro, insofferente. Ma tu sei troppo in basso e quando piego la testa mi dimentico tutte le parole.
Hai capelli neri e gli occhi sono uguali. D'un colore scuro che scintilla. La faccia scura, una giacca di due taglie più grandi con una macchia sul colletto. Le parole non le ricordo e allora ti chiedo quanti anni hai. E tu mi rispondi: sette. A scuola ci vai? Questa è la seconda domanda. E tu mi dici di sì. Ma io non ci credo e allora ti chiedo che classe frequenti. La terza, mi dici.
Sei veloce. Però sbagli. "La terza non può essere", contraddico. "Sì che può essere - insisti te -, è la terza B ed a ricreazione in giardino vedo sempre mio fratello che ha dieci anni".
Penso che le risposte te le sei preparate e quindi è inutile continuare. Cerco una moneta e tu guardi nel mio carrello e mi chiedi un quaderno. Me l'hanno regalato con il latte. Va bene, te lo cedo. Eccoti pure una penna. E tu mi fai sorridere, sei sospettoso: "Funziona?".
Vorrei fermarmi ancora. Ma poi è tardi. Devo andare. "Fino a che ora ti fermi?", faccio prima di chiudere il bagagliaio. Mi dici un'altra ora. Quando ti ho chiesto se avevi una casa, hai fatto cenno di sì. Bellissima, hai aggiunto.
Quella è stata la risposta più tagliente. Dev'esser stata quella perché, quando ho bloccato tutti gli sportelli con la chiusura, continuavo a sentirtelo ripetere quell'aggettivo... Prima sentivo l'aggettivo e poi rivedevo la macchia sul colletto. Come un'immagine e la sua didascalia.