martedì 29 dicembre 2009

BAMBINA DEL CORTILE

Stai per raccomentarmela.
Inizi sempre, più o meno, nello stesso modo. Con le labbra che si premono l'una contro l'altra. Col capo stanco che si piega. Con le mani ossute che si accarezzano l'un l'altra.
Io resto fuori da quelle labbra e da quelle mani. Mentre ti accarezzi, io resto fuori. Mi permetti solo di ascoltare e di guardare.
Tu racconti ed io ti vedo. Vedo te, bambina, su quel viale, sotto casa.
La tua voce è precisa: saltavo la corda. I miei occhi ti stanno guardando, non ti perdo d'occhio: un balzo dietro l'altro. Posso contare fino a tre.
Dici sempre così: mia madre l'ho vista in lontananza. Ed era maggio e non pioveva da tanti giorni. Un maggio caldo, un caldo da sudate e con la febbre alta che non passa. Un caldo da polmoniti che ci si muore in otto giorni. Un caldo che asciuga la terra e fa la strada polverosa.
Dici: mia madre aveva i capelli sciolti ed era strano, perché non li scioglieva mai. Le cadevano disordinati sulle spalle. Da lontano, io ho capito che lei piangeva.
Fai una pausa e insisti: da lontano, io bambina del cortile, per prima, mentre i miei fratelli continuavano a giocare... Io, bambina del cortile, l'ho capito. Ho capito che lei piangeva per lui che era morto.
Poi ti fermi e cerchi i miei occhi. Annuisci. Anche io annuisco sempre. Vuoi sapere se ti sto vedendo, se ti vedo mentre piangi anche tu, se ti vedo mentre sei bambina del cortile.
Mia madre piangeva, dici sempre, perché non si può morire a quarant'anni d'una polmonite, in maggio. E t'indigni, lo fai ogni volta.
A dieci anni questa scena io l'avrei saputa scrivere come la scrivo oggi. La vedevo come la vedo oggi. Con tua madre che piange con i capelli sciolti sul viale polveroso e intorno è maggio.
Eri da sola. I tuoi fratelli non contano niente, perché dopo non li hai più visti, per anni. Avresti voluto una sorella con te, una piccola figlia sorella.
Eri orfana. Poco più di sette anni e due gambette gracili che sanno a malapena saltare la corda. Gli occhi neri come la notte imparano subito a piangere.
Prima che madre, sei sempre stata orfana. Ed eri madre per tornarci, non più sola, su quel viale. Lo hai fatto appena hai potuto e ti sei portata dietro gli occhi di tua figlia.
Ci siamo tornate insieme in quel cortile, decine e decine di volte. Ed io ero più grande di te e ti reggevo la corda. Potevo solo guardare, ma a te andava bene soltanto tornarci. Rifare la strada insieme, in senso contrario. Non più sola.
In mezzo alla polvere di quel mese di maggio del 1934 abbiamo rifatto la strada, fermandoci sempre negli stessi punti, sugli stessi sassi.
Iniziavi piangere quando scorgevamo tua madre in lontananza, con i capelli sciolti e disordinati.
Accadeva ogni volta che ti sentivi sola, perché il tempo non è qualcosa che non si possa ribaltare anche solo con le parole.

domenica 27 dicembre 2009

SEI UNA GAZZA

La carta l'hai stracciata in meno di un secondo. T'è bastato un mezzo centimetro scoperto di imballo per indovinare cosa contenesse. Ma sei una gazza, questo lo so.
Hai quasi fatto cadere la nonna nell'impeto di un abbraccio.
Mi hai fatto un sacco di domande, comprese quelle per cui mi mancano ancora le risposte.
Mi devi dare un po' più di tempo, questo lo sai.
Hai infilato una mano tra i miei capelli, mentre ti abbottonavo la camicia, e hai toccato le perle che avevo sui lobi. Quegli orecchini non li metto mai. Ti ci sei soffermato e non hai detto nulla. Li hai guardati, ma avevi anche bisogno di toccarli.
Perché tu sei così, sei una gazza.
Mi hai raccontato, invece, che hanno catturato un cane e quello ha detto: "Molto spiacente". E poi mi hai chiesto se è vero che una trappola per topi deve essere grande, o si può fare pure piccola.
Mi hai chiesto dell'acqua urlando che morivi di sete e poi ci hai soffiato dentro per fare le bolle.
Mi hai rubato l'anello con la pietra grande e lo hai nascosto nel tuo cassetto.
Mi sono arrabbiata moltissimo. E tu mi hai detto che ti piace come brilla e che da grande vuoi fare il gioielliere. Qualche giorno fa era il pescatore e, prima ancora, il taglialegna.
Il gioielliere mi sembra più probabile. Perché tu sei una gazza.
Ed io sono solo il tuo nido, questo tu lo sai.
Io pure.
(Almeno credo)

giovedì 24 dicembre 2009

IO TI CHIESI

Io ti chiesi
perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.
Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto triste.
(Hermann Hesse)

mercoledì 23 dicembre 2009

...QUELLA LUCE NELLA NOTTE...

...splendida e ammaliante come un desiderio.
Noi, dal vuoto siderale, ci lasciamo sedurre dalla sua scia e dalla sua speranza...

(grazie jo-jo) http://www.youtube.com/watch?v=3Hbwa00VEMc

venerdì 18 dicembre 2009

AVRO' TEMPO DI RINCHIUDERMI DOMANI

Ora ho voglia di guardarlo questo mondo.
Ho voglia di seguire con lo sguardo la bambina bionda e quel suo buffo cappellino rosa con il pon pon che le rimbalza sulla nuca, mentre saltella lungo la strada che la porta a scuola.
Ho voglia di lasciare attraversare il ragazzo distratto con la cartella slacciata e le mani bianche.
Ho voglia di leggere ancora una volta la scritta col gesso sul muro: "Per sempre, trottolina".
Ho voglia di congelarmi il viso, di offrire al freddo naso e fronte e di arrendervi almeno qualche sogno. Penso che il gelo me li ucciderà, senza troppo dolore per esserne poi io libera di nuovo.
Ho voglia di schiacciare le suole sul marciapiedi, sperando di lasciare almeno una piccola traccia.
Ho voglia di salire i gradini di corsa e di arrivare su con il fiato corto. Ho voglia di annusare quel cespuglio e di allagarmi gli iridi di un colore solo.

Sto cercando di liberarmi di te, pensiero scomodo.
Chiusa intrusa interferenza.
Macchia sfrontata nella mia coscienza.
Piccola ossessione quotidiana.
Resta qui su questo marciapiede, ti prego.
Non seguirmi, cane sbilenco e famelico.
Non seguirmi, ti ho detto.

mercoledì 16 dicembre 2009

CANZONE

Le nuvole sono legate alla terra ed al vento. / Fin che ci saran nuvole sopra Torino sarà bella la vita. / Sollevo la testa e un gran gioco si svolge lassù sotto il sole. /Masse bianche durissime e il vento vi circola tutto azzurro /- talvolta le disfa e ne fa grandi veli impregnati di luce. /Sopra i tetti, a migliaia le nuvole bianche copron tutto, / la folla, le pietre e il frastuono.
Molte volte levandomi ho visto le nuvole trasparire / nell'acqua limpida di un catino. / Anche gli alberi uniscono il cielo alla terra. /Le città sterminate somiglian foreste / dove il cielo compare su su, tra le vie. /Come gli alberi vivi sul Po, nei torrenti / così vivono i mucchi di case nel sole.
Anche gli alberi soffrono e muoiono / sotto le nubi l'uomo sanguina e muore, / - ma canta la gioia tra la terra ed il cielo, / la gran meraviglia di città e di foreste.
Avrò tempo domani a rinchiudermi / e stringere i denti. / Ora tutta la vita son le nubi / e le piante e le vie, / perdute nel cielo.
(Cesare Pavese)

sabato 12 dicembre 2009

PRESEPE

Sul pendio c'è vento. Insidia. Sibila. E voi siete poco più in là.
Quel sibilo ferisce le orecchie e troppo orizzonte negli occhi stordisce. Un passo indietro, in mezzo a tanto cielo, non lo percepisce nessuno. Un passo indietro a sentirsi amovibile. Personaggio di presepe su uno scosceso pendio.
Solo la voce può raggiungere gli altri, ma ora è spenta nella gola ed il vento continua a minacciare.
Sono secondi, alcuni e poi molti, mi cristallizzano nello scenario. Raggelo pensando all'amovibilità ed al continuo fluire del tutto. Non posso che arrendermi al presepe ed al cielo, che è tanto, tantissimo, troppo per me.
Ma qualcuno si volta e mi avvista. Arriva una voce, rapida come una lancia che reca una fune. Ed io l'afferro. Potere d'istinto.
Rispondo.
Tutto ricomincia.

http://www.youtube.com/watch?v=lMiskxwcgkw

sabato 5 dicembre 2009

IL TRENO DELLE 8

"Era quel viaggio (dei pendolari), in carrozze in cui viveva la sperimentazione dell'amicizia d'amore, una sosta nel flusso del tempo corrente, sempre più corrosivo dei corpi e delle anime, un ritorno a memorie sensazioni pensieri sguardi volti perduti nell'affanno quotidiano, in cui era perduta ogni armonia nelle relazioni tra le persone e negli effetti che sulle persone producevano gli eventi naturali e storici. La sperimentazione riusciva ad ogni viaggio e ognuno si convinceva ed imparava che la solitudine si può sconfiggere, che la paura del dire di sè ad un altro era annullata, che l'ascolto dell'altro era un pegno ed un impegno".
(da "La vicevita. Treni e viaggi in treno" di Valerio Magrelli, 2009)

venerdì 4 dicembre 2009

4 DICEMBRE 2009

“La maggior parte degli avvenimenti
sono indicibili,
si compiono in uno spazio che
mai parola ha varcato,
e più indicibili di tutto sono le opere d’arte,
misteriose esistenze,
la cui vita,
accanto alla nostra che svanisce,
perdura”.
(Rainer Maria Rilke)

giovedì 3 dicembre 2009

SARA STA SUI GRADINI

Sara sta sui gradini.
Chiusa nel suo cappottino, con le ciocche castane che penzolano assieme alla sciarpa.
C'è freddo. Ma lei non ha il cappello.
Sara ha soltanto le sue ciocche castane.
E la maestra le sta di fianco, con i libri in mano.
Gli altri se ne vanno. Girano gli zaini, slacciano i grembiuli. Se ne vanno.
Sara è sempre lì e con lei sta la maestra.
La maestra le parla e lei risponde qualcosa. Ma non alza il viso e neppure gli occhi.
Un compagno tira calci ad una pigna. E' il figlio della bidella.
Sara è lì e si stringe nel cappottino. Poi il cortile diventa vuoto.
E lei è sempre lì, con la sua maestra.
Il freddo diventa più intenso, perché il vento penetra attraverso il viale e non trova più l'ostacolo della folla.
Non è la prima volta.
La maestra, un pomeriggio, alle sei l'ha accompagnata a casa.
"Non si può fare", le ha detto una collega. "Sono le sei, mica possiamo lasciarla qui". "Chiami i carabinieri", suggerisce il portiere.
Ma lei l'ha caricata in macchina e si è fatta dire la strada. I bambini hanno paura dei carabinieri.
La bambina aveva le chiavi. Sono entrate e dentro era buio. La bambina ha acceso i fornelli e così ha fatto luce e ha iniziato a fare un po' di cena. Un uovo in una padellina.
Poi si è seduta ad aspettare con lei ed arrivato uno, ha detto di essere il padre.
Era ubriaco. "Mi scusi maestra non m'ero accorto".
La maestra si chiede: di che? Non s'era accorto di essere ubriaco? Non s'era accorto che fosse così tardi? Non s'era accorto d'avere una figlia?
Oggi però ha deciso che non l'accompagnerà, perché la casa era davvero troppo buia.
La maestra oggi non telefonerà e neanche accompagnerà la bambina.
Ha deciso che conta fino a tre e poi torna dentro.
Così al tre torna dentro. Infila una mano dentro la tasca e cerca la penna.
La bambina si siede sul banco vuoto. Lei e il suo cappottino, le ciocche, lo zaino... e poi prende un libro.
La maestra apre il cassetto e tira fuori la lettera. Quella lettera la spedirà il giorno dopo e quando arriverà a destinazione avrà un timbro e poi un numero.
Qualcuno aprirà la pratica. Una pratica di nome Sara.