martedì 29 dicembre 2009

BAMBINA DEL CORTILE

Stai per raccomentarmela.
Inizi sempre, più o meno, nello stesso modo. Con le labbra che si premono l'una contro l'altra. Col capo stanco che si piega. Con le mani ossute che si accarezzano l'un l'altra.
Io resto fuori da quelle labbra e da quelle mani. Mentre ti accarezzi, io resto fuori. Mi permetti solo di ascoltare e di guardare.
Tu racconti ed io ti vedo. Vedo te, bambina, su quel viale, sotto casa.
La tua voce è precisa: saltavo la corda. I miei occhi ti stanno guardando, non ti perdo d'occhio: un balzo dietro l'altro. Posso contare fino a tre.
Dici sempre così: mia madre l'ho vista in lontananza. Ed era maggio e non pioveva da tanti giorni. Un maggio caldo, un caldo da sudate e con la febbre alta che non passa. Un caldo da polmoniti che ci si muore in otto giorni. Un caldo che asciuga la terra e fa la strada polverosa.
Dici: mia madre aveva i capelli sciolti ed era strano, perché non li scioglieva mai. Le cadevano disordinati sulle spalle. Da lontano, io ho capito che lei piangeva.
Fai una pausa e insisti: da lontano, io bambina del cortile, per prima, mentre i miei fratelli continuavano a giocare... Io, bambina del cortile, l'ho capito. Ho capito che lei piangeva per lui che era morto.
Poi ti fermi e cerchi i miei occhi. Annuisci. Anche io annuisco sempre. Vuoi sapere se ti sto vedendo, se ti vedo mentre piangi anche tu, se ti vedo mentre sei bambina del cortile.
Mia madre piangeva, dici sempre, perché non si può morire a quarant'anni d'una polmonite, in maggio. E t'indigni, lo fai ogni volta.
A dieci anni questa scena io l'avrei saputa scrivere come la scrivo oggi. La vedevo come la vedo oggi. Con tua madre che piange con i capelli sciolti sul viale polveroso e intorno è maggio.
Eri da sola. I tuoi fratelli non contano niente, perché dopo non li hai più visti, per anni. Avresti voluto una sorella con te, una piccola figlia sorella.
Eri orfana. Poco più di sette anni e due gambette gracili che sanno a malapena saltare la corda. Gli occhi neri come la notte imparano subito a piangere.
Prima che madre, sei sempre stata orfana. Ed eri madre per tornarci, non più sola, su quel viale. Lo hai fatto appena hai potuto e ti sei portata dietro gli occhi di tua figlia.
Ci siamo tornate insieme in quel cortile, decine e decine di volte. Ed io ero più grande di te e ti reggevo la corda. Potevo solo guardare, ma a te andava bene soltanto tornarci. Rifare la strada insieme, in senso contrario. Non più sola.
In mezzo alla polvere di quel mese di maggio del 1934 abbiamo rifatto la strada, fermandoci sempre negli stessi punti, sugli stessi sassi.
Iniziavi piangere quando scorgevamo tua madre in lontananza, con i capelli sciolti e disordinati.
Accadeva ogni volta che ti sentivi sola, perché il tempo non è qualcosa che non si possa ribaltare anche solo con le parole.

domenica 27 dicembre 2009

SEI UNA GAZZA

La carta l'hai stracciata in meno di un secondo. T'è bastato un mezzo centimetro scoperto di imballo per indovinare cosa contenesse. Ma sei una gazza, questo lo so.
Hai quasi fatto cadere la nonna nell'impeto di un abbraccio.
Mi hai fatto un sacco di domande, comprese quelle per cui mi mancano ancora le risposte.
Mi devi dare un po' più di tempo, questo lo sai.
Hai infilato una mano tra i miei capelli, mentre ti abbottonavo la camicia, e hai toccato le perle che avevo sui lobi. Quegli orecchini non li metto mai. Ti ci sei soffermato e non hai detto nulla. Li hai guardati, ma avevi anche bisogno di toccarli.
Perché tu sei così, sei una gazza.
Mi hai raccontato, invece, che hanno catturato un cane e quello ha detto: "Molto spiacente". E poi mi hai chiesto se è vero che una trappola per topi deve essere grande, o si può fare pure piccola.
Mi hai chiesto dell'acqua urlando che morivi di sete e poi ci hai soffiato dentro per fare le bolle.
Mi hai rubato l'anello con la pietra grande e lo hai nascosto nel tuo cassetto.
Mi sono arrabbiata moltissimo. E tu mi hai detto che ti piace come brilla e che da grande vuoi fare il gioielliere. Qualche giorno fa era il pescatore e, prima ancora, il taglialegna.
Il gioielliere mi sembra più probabile. Perché tu sei una gazza.
Ed io sono solo il tuo nido, questo tu lo sai.
Io pure.
(Almeno credo)

giovedì 24 dicembre 2009

IO TI CHIESI

Io ti chiesi
perché i tuoi occhi
si soffermano nei miei
come una casta stella del cielo
in un oscuro flutto.
Mi hai guardato a lungo
come si saggia un bimbo con lo sguardo,
mi hai detto poi, con gentilezza:
ti voglio bene, perché sei tanto triste.
(Hermann Hesse)

mercoledì 23 dicembre 2009

...QUELLA LUCE NELLA NOTTE...

...splendida e ammaliante come un desiderio.
Noi, dal vuoto siderale, ci lasciamo sedurre dalla sua scia e dalla sua speranza...

(grazie jo-jo) http://www.youtube.com/watch?v=3Hbwa00VEMc

venerdì 18 dicembre 2009

AVRO' TEMPO DI RINCHIUDERMI DOMANI

Ora ho voglia di guardarlo questo mondo.
Ho voglia di seguire con lo sguardo la bambina bionda e quel suo buffo cappellino rosa con il pon pon che le rimbalza sulla nuca, mentre saltella lungo la strada che la porta a scuola.
Ho voglia di lasciare attraversare il ragazzo distratto con la cartella slacciata e le mani bianche.
Ho voglia di leggere ancora una volta la scritta col gesso sul muro: "Per sempre, trottolina".
Ho voglia di congelarmi il viso, di offrire al freddo naso e fronte e di arrendervi almeno qualche sogno. Penso che il gelo me li ucciderà, senza troppo dolore per esserne poi io libera di nuovo.
Ho voglia di schiacciare le suole sul marciapiedi, sperando di lasciare almeno una piccola traccia.
Ho voglia di salire i gradini di corsa e di arrivare su con il fiato corto. Ho voglia di annusare quel cespuglio e di allagarmi gli iridi di un colore solo.

Sto cercando di liberarmi di te, pensiero scomodo.
Chiusa intrusa interferenza.
Macchia sfrontata nella mia coscienza.
Piccola ossessione quotidiana.
Resta qui su questo marciapiede, ti prego.
Non seguirmi, cane sbilenco e famelico.
Non seguirmi, ti ho detto.

mercoledì 16 dicembre 2009

CANZONE

Le nuvole sono legate alla terra ed al vento. / Fin che ci saran nuvole sopra Torino sarà bella la vita. / Sollevo la testa e un gran gioco si svolge lassù sotto il sole. /Masse bianche durissime e il vento vi circola tutto azzurro /- talvolta le disfa e ne fa grandi veli impregnati di luce. /Sopra i tetti, a migliaia le nuvole bianche copron tutto, / la folla, le pietre e il frastuono.
Molte volte levandomi ho visto le nuvole trasparire / nell'acqua limpida di un catino. / Anche gli alberi uniscono il cielo alla terra. /Le città sterminate somiglian foreste / dove il cielo compare su su, tra le vie. /Come gli alberi vivi sul Po, nei torrenti / così vivono i mucchi di case nel sole.
Anche gli alberi soffrono e muoiono / sotto le nubi l'uomo sanguina e muore, / - ma canta la gioia tra la terra ed il cielo, / la gran meraviglia di città e di foreste.
Avrò tempo domani a rinchiudermi / e stringere i denti. / Ora tutta la vita son le nubi / e le piante e le vie, / perdute nel cielo.
(Cesare Pavese)

sabato 12 dicembre 2009

PRESEPE

Sul pendio c'è vento. Insidia. Sibila. E voi siete poco più in là.
Quel sibilo ferisce le orecchie e troppo orizzonte negli occhi stordisce. Un passo indietro, in mezzo a tanto cielo, non lo percepisce nessuno. Un passo indietro a sentirsi amovibile. Personaggio di presepe su uno scosceso pendio.
Solo la voce può raggiungere gli altri, ma ora è spenta nella gola ed il vento continua a minacciare.
Sono secondi, alcuni e poi molti, mi cristallizzano nello scenario. Raggelo pensando all'amovibilità ed al continuo fluire del tutto. Non posso che arrendermi al presepe ed al cielo, che è tanto, tantissimo, troppo per me.
Ma qualcuno si volta e mi avvista. Arriva una voce, rapida come una lancia che reca una fune. Ed io l'afferro. Potere d'istinto.
Rispondo.
Tutto ricomincia.

http://www.youtube.com/watch?v=lMiskxwcgkw

sabato 5 dicembre 2009

IL TRENO DELLE 8

"Era quel viaggio (dei pendolari), in carrozze in cui viveva la sperimentazione dell'amicizia d'amore, una sosta nel flusso del tempo corrente, sempre più corrosivo dei corpi e delle anime, un ritorno a memorie sensazioni pensieri sguardi volti perduti nell'affanno quotidiano, in cui era perduta ogni armonia nelle relazioni tra le persone e negli effetti che sulle persone producevano gli eventi naturali e storici. La sperimentazione riusciva ad ogni viaggio e ognuno si convinceva ed imparava che la solitudine si può sconfiggere, che la paura del dire di sè ad un altro era annullata, che l'ascolto dell'altro era un pegno ed un impegno".
(da "La vicevita. Treni e viaggi in treno" di Valerio Magrelli, 2009)

venerdì 4 dicembre 2009

4 DICEMBRE 2009

“La maggior parte degli avvenimenti
sono indicibili,
si compiono in uno spazio che
mai parola ha varcato,
e più indicibili di tutto sono le opere d’arte,
misteriose esistenze,
la cui vita,
accanto alla nostra che svanisce,
perdura”.
(Rainer Maria Rilke)

giovedì 3 dicembre 2009

SARA STA SUI GRADINI

Sara sta sui gradini.
Chiusa nel suo cappottino, con le ciocche castane che penzolano assieme alla sciarpa.
C'è freddo. Ma lei non ha il cappello.
Sara ha soltanto le sue ciocche castane.
E la maestra le sta di fianco, con i libri in mano.
Gli altri se ne vanno. Girano gli zaini, slacciano i grembiuli. Se ne vanno.
Sara è sempre lì e con lei sta la maestra.
La maestra le parla e lei risponde qualcosa. Ma non alza il viso e neppure gli occhi.
Un compagno tira calci ad una pigna. E' il figlio della bidella.
Sara è lì e si stringe nel cappottino. Poi il cortile diventa vuoto.
E lei è sempre lì, con la sua maestra.
Il freddo diventa più intenso, perché il vento penetra attraverso il viale e non trova più l'ostacolo della folla.
Non è la prima volta.
La maestra, un pomeriggio, alle sei l'ha accompagnata a casa.
"Non si può fare", le ha detto una collega. "Sono le sei, mica possiamo lasciarla qui". "Chiami i carabinieri", suggerisce il portiere.
Ma lei l'ha caricata in macchina e si è fatta dire la strada. I bambini hanno paura dei carabinieri.
La bambina aveva le chiavi. Sono entrate e dentro era buio. La bambina ha acceso i fornelli e così ha fatto luce e ha iniziato a fare un po' di cena. Un uovo in una padellina.
Poi si è seduta ad aspettare con lei ed arrivato uno, ha detto di essere il padre.
Era ubriaco. "Mi scusi maestra non m'ero accorto".
La maestra si chiede: di che? Non s'era accorto di essere ubriaco? Non s'era accorto che fosse così tardi? Non s'era accorto d'avere una figlia?
Oggi però ha deciso che non l'accompagnerà, perché la casa era davvero troppo buia.
La maestra oggi non telefonerà e neanche accompagnerà la bambina.
Ha deciso che conta fino a tre e poi torna dentro.
Così al tre torna dentro. Infila una mano dentro la tasca e cerca la penna.
La bambina si siede sul banco vuoto. Lei e il suo cappottino, le ciocche, lo zaino... e poi prende un libro.
La maestra apre il cassetto e tira fuori la lettera. Quella lettera la spedirà il giorno dopo e quando arriverà a destinazione avrà un timbro e poi un numero.
Qualcuno aprirà la pratica. Una pratica di nome Sara.

lunedì 30 novembre 2009

NULLA E' IN REGALO


Nulla è in regalo, tutto è in prestito.
Sono indebitata fino al collo,
sarò costretta a pagare per me con me stessa,
a rendere la vita in cambio della vita.

E' così che è stabilito,
il cuore va reso e il fegato va reso e ogni singolo dito.
E' troppo tardi per impugnare il contratto.
Quanto devo
mi sarà tolto con la pelle.

Me ne vado per il mondo
tra una folla di altri debitori.
Su alcuni grava l'obbligo di pagare le ali.
Altri dovranno, per amore o per forza, rendere conto delle foglie.

Nella colonna
dare
ogni tessuto che è in noi.

Non un ciglio, non un peduncolo da conservare per sempre.
L'inventario è preciso, e a quanto pare ci toccherà restare con niente.
Non riesco a ricordare
dove, quando e perché
ho permesso che aprissero
questo conto a mio nome.

La protesta contro di esso noi la chiamiamo anima.
E questa è l'unica voce
che manchi all'inventario.

(Wislawa Szymborska)

venerdì 27 novembre 2009

ICEBERG

Un pezzo di ghiaccio. Un enorme pezzo di ghiaccio che vaga in mezzo all'Oceano senza che nessuno possa fermarlo. E tutti gli scienziati a chiedersi. E tutti i giornalisti a fotografare. E tutti i geografi a segnalare. E intanto lui vaga, enorme, gigantesco, in mezzo all'Oceano. Sfrontato come solo un pezzo di ghiaccio può essere.


Ci illudiamo sempre di controllare tutto.
Sempre lo stesso errore.

lunedì 23 novembre 2009

QUANDO TROVO UNA PAROLA

"Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso".
(Giuseppe Ungaretti)


Il silenzio è un amplificatore potente. Ci teniamo qualcosa per noi, non ne parliamo con nessuno, ma dentro di noi quel qualcosa lo viviamo in maniera così intensa che è quasi come averne parlato con il mondo intero.
Tutto quello che ci circonda, tutte le parole, tutti i gesti, tutte le espressioni sembrano avere a che fare con esso.
E’ difficile parlare. Difficile trovare le parole. Le parole non bastano mai.
La vita non è solo parole, è suoni, immagini, sensazioni, è una incomprensibile complicazione emotiva.

domenica 22 novembre 2009

TEMO I TUOI OCCHI

(ritratto di donna anziana, Giuseppe Cipriani)

Il rettangolo bianco.
Piatti e bicchieri, sonori.
La luce che illumina il tuo viso
e me, che vorrei non guardare.
Temo i tuoi occhi.
Temo di leggerci dentro
la parola fine.

POSTI


I posti continuano ad esistere, anche se smetti di andarci. Può essere un campo, disteso a chilometri di distanza. Lasciato pieno di sassi, di fango e di ciuffi d’erba. Lasciato un pomeriggio di parecchi anni fa.
Sul campo una casa, scabra, senza intonaco. Una casa da finire. Dentro una famiglia. Lei, lunghi capelli corvini, occhi da gazza. Lui, sguardo basso e spalle curve. E poi una figlia, che ci sta stretta dentro quella casa. I gatti che attraversano furtivamente il cortile e un asino legato sul retro.
Li saluti un pomeriggio e prometti “la prossima estate”. Ne trascorrono molte, invece, e non ci torni più. Quasi ti dimentichi di quel posto ed esso cessa di esistere. Per te, non esiste più.
Poi ci torni. Intanto hai vissuto degli anni, parecchi. Gli anni sono trascorsi anche lì, su quel campo. Ed ora ci sono dei loti. C’è un orto e ci crescono delle strane melanzane. Non c’è più l’asino ed al suo posto c’è una veranda, sotto la veranda una bambina dentro un giacchettino di lana a righe. Ha gli occhi di quella figlia che ora è diventata madre, due volte. Lei, occhi di gazza, ha un velo di lacrime solide davanti agli occhi e decine di crepe sul viso. Una striscia di bianco alla radice dei lunghi capelli neri. Lui, sguardo basso, invece, ricordavi che sorrideva di meno. Ed ha un viso tondo e scapole sollevate. Gli anni hanno portato via i gatti ed ora in cortile scorrazzano tre o quattro cani. La casa ha un intonaco nuovo.
Le parole sono garrule intorno ad una pizza dolce e un bicchiere di qualcosa. Ma gli sguardi tradiscono il tempo. Difficile raccontare gli anni. Scorrono però davanti agli occhi, sulla corteccia di un loto o tra le canne che sostengono un rampicante. Sul piastrellato che prima non c’era e fra le gabbie dei conigli dagli occhi rosa. Li senti a riempirti le braccia quando stringi quei corpi e te ne vai. Li senti in un fremito che vuole dire chissà che e annodati nella gola, se ci ripensi.

venerdì 20 novembre 2009

MACCHIE D'OLIO

C’è quella giornata che ti alzi e non hai voglia di andare. Apparentemente senza motivo. Poi magari squilla il telefono, la sensazione in qualche modo defluisce e si sfrangia nelle chiacchiere con un’amica. Neanche gliene parli all’amica perché non trovi un filo logico. Non lo trovi ancora. Però c’è.
Poi nel bel mezzo di una fantastica cena e qualcuno ti fa una domanda e tu però non hai sentito niente. Perché nel frattempo guardavi dall’oblò i colori della notte e intanto ti chiedevi che cavolo ci stavi a fare lì. Con tutti quegli estranei che conosci da anni.
Una macchia d’olio in mezzo all’oceano. Può essere nulla e ci si vola sopra, dimenticandola nell’attimo seguente. Oppure no. Può essere la prima macchia ad emergere. Poi le altre, ad occupare tutta la superficie ed a togliere il respiro a tutte le creature marine.
E allora i due metri li ritrovi pure dentro un letto, che ha le lenzuola al posto della terra e le lenzuola diventano un sudario.
Si cresce anche così, scorticandosi l’epidermide immatura. Ma costa sangue e lacrime, almeno per un po’.
Non c’è una causa sola. Le ragioni possono essere ennemila. Qualcuno che ti mesce la vita con la morte, e lo sapevi, lo immaginavi… soltanto in teoria però. E poi solo la morte che ha la faccia di un padre, di una sorella o di un amico che pensavi si potesse fermare ancora un po’.
Oppure può essere la sordità. Che non ti fa ascoltare quelle voci che salgono da dentro in un conato repentino. Prima isolate, stridule… poi un coro possente che ti stordisce. E quando ti stordisce non riesci a sentire altro e credi di impazzire.

sabato 7 novembre 2009

BUONGIORNO!


Inizia con la sveglia che ti massacra il cervello. Con le briciole di quel pensiero che ieri sera non hai fatto in tempo a finire. Con il post-it "urgente" attaccato sull'agendina ed i pugni già serrati. Pronti alla partenza. Con lo specchio del bagno che non hai voglia di parlarci. Con la spazzola che ti tira via ciuffi di capelli. Con la crema che andrebbe stesa con piccoli movimenti circolari ed un paio di colpi di mascara che forse ti risollevano il morale.
Poi il latte nella tazza, le gocce sulla tovaglia ed un paio di morsi pieni di marmellata al senso di colpa. La borsa che cade e si rovescia. E' piena di scontrini e cose che dovresti mettere in ordine. C'è pure quel biglietto che cercavi l'altroieri. Eccolo. Però non serve più. Magari lo butti dopo. Se trovi un cestino a portata di mano.
Inizia che cerchi le chiavi dell'auto e non le trovi. Eppure le metti sempre lì. E non le trovi. E guardi bene e non le trovi. Sposti il cappello e poi le trovi. I pugni sono sempre più serrati e lo stomaco inizia pure lui.
Ti chiudi la porta dietro le spalle e rimandi a dopo tutto il disordine che ci lasci dentro. Corri. Corri che devi arrivare. Corri. E mentre corri, pensi. Pensi e corri.
I pensieri di corsa, quelli del mattino, sono i pensieri della fiducia. I pensieri del conforto. Sembri distratta. Corri e sembri distratta. Invece pensi. Ma vallo a spiegare al dirimpettaio che hai appena dimenticato di salutare. Pensi e intanto chiudi lo sportello. Accendi il riscaldamento e subito dopo la radio. Se stai bene ti cerchi quella stazione e, mentre pensi, canticchi pure un po'. Si può fare. Se stai male. Metti quel cd. E lo fai girare. Come un coltello. Gira finché non scendi e i pensieri lasci che ti aspettino, come cani fedeli, sui sedili.

lunedì 2 novembre 2009

CIAO ALDA!


O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
poesia, non schiacciarmi
l’insetto è alacre e insonne,
scalpita dentro la rete,
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.

domenica 1 novembre 2009

CONTINUARE A DORMIRE


Non potremmo continuare a dormire?
Non potremmo continuare a starcene rincantucciati?
Non potremmo starcene in silenzio coi nostri pensieri?
Non abbiamo lacrime da versare, noi.
Né parole da pronunciare, né occhi da spalancare,
né mani per stringere, né bocca per urlare.
Abbiamo solo uno strano mutilo corpo
con un uno strano cuore dentro.
Un cuore d’animale: un cuore di cane o di gatto o d’uccello.
Un cuore anestetizzato, che pulsa lentamente, discretamente.
... Soltanto a tratti si sente più forte,
si sente quasi vivere, quasi lottare, quasi desiderare...
... Piccoli, piccoli, piccoli battiti...
attutiti dallo spesso cappotto,
dalla coltre candida...
Potremmo aspettare che il sole
lasci cadere i raggi
per dormire di nuovo,
senza essere svegliati stavolta.

AL BUIO


Al buio sappiamo muoverci. Ci affidiamo agli altri sensi. E poi c'è il pensiero. Credo non ci sia dimensione migliore. Nel buio gli ostacoli perdono i confini.
Sono molti i miei pensieri del buio. I pensieri del confine. I piccoli fardelli della giornata che ho bruciato dietro le mie spalle. I fagotti che non sono riuscita a gettare giù. Le mie picccole zavorre.
Da piccola mi facevano compagnia come piccole bambole da ninnare, a cui accarezzare i capelli. I miei pensieri del confine.
A volte hanno visi e voci i miei pensieri del confine. E sono voci chiarissime, nitide. Sguardi ai quali non posso sottrarmi.
Al confine assaporo tutta la mia umana solitudine.

lunedì 26 ottobre 2009

MALGRADO


Soli.
Malgrado le voci.
Malgrado le luci.
Malgrado i colori.
Soli e spaventati.
A strattonare brandelli di vita
Sperando non finisca mai.
Sperando non finisca mai.

domenica 4 ottobre 2009

TUFFI


Siamo noi, il trampolino e un quadrato turchese sotto, perpendicolare allo sguardo. Il quadrato turchese è il paradiso. E per una volta, in questa metafora qui, il paradiso sta sotto. Sotto i piedi del tuffatore. Sopra la sua testa quando troverà il coraggio di capovolgersi.
Il tuffo viene bene da bambini. Perché, quando sei bambino, non ci pensi al quadrato turchese. Pensi solo al tuffo. Ti tuffi solo per il tuffo e per uno scintillio che hai intravisto sul pelo dell’acqua. I bambini sono gazze ladre.
L’amore è una cosa strana e non sempre viene bene. Soprattutto non viene sempre uguale. Ci disorienta, ci delude e ci inganna. E siamo tutti ingenui. Un po’ scemi e un po’ bambini, anche un po’ animali, attori delle nostre giornate deficienti.
E la clessidra si svuota. Qualche granello si incastra nella strozzatura e rallenta gli altri. Ognuno questo giochetto lo impara presto. Impariamo a incastrare i granelli. Per un po’, periodicamente funziona.
Della felicità possiamo anche fare a meno. Saremo capaci di essere felici anche senza felicità. La felicità è roba per chi si tuffa solo per il tuffo.

FUGGIRE VIA


A volte la donna con la borsa ed il cellulare ha voglia di fuggire. Vorrebbe dilatare il tempo ed incastrarci dentro delle impercettibili assenze. Casuali bolle d’aria, dove scivolare con disinvoltura. Fuori un cartello: torno subito.
Le accade da sempre, da quel pomeriggio in cortile in cui faceva rimbalzare la palla rossa in un cono d’ombra, tra due muri. Una vestaglietta a fiori ed un paio di zoccoli numero 29. Numero 29 lo ricorda bene, perché con Antonella gli zoccoli ogni tanto se li scambiavano. Non rammenta però l’età. Ma forse non ha importanza, poiché qui si parla di un desiderio senza età. Una smania rapace che eternamente dura e che non sa obliare.
Però non si può fuggire così, senza dire nulla. Le hanno insegnato a salutare, a giustificare, a spiegare. E questa cosa qui, anche volendo, non la saprebbe proprio spiegare.
La bambina con la vestaglietta a fiori fuggiva davvero, in un sottoscala a contare i sassolini nelle tasche. La donna con la borsa ed il cellulare, con le chiavi e l’agendina, prigioniera davanti alla macchinetta del caffè, invece no. Fruga fra le monete. Ma non fugge. E la collega coi capelli corti ed il rossetto fucsia la punta. Dietro c’è il muro, lo sa, e allora la cinge. La notte non dorme e ha un figlio solo. E parla, parla, parla senza ascoltare mai.
La donna con la borsa e il cellulare non fugge e inizia a fissare il contenitore, pregando si rovesci per un urto repentino e l’acqua prenda a scorrere sul piastrellato. Così come le pare. Incanalandosi tra le fessure, in centinaia di linee spezzate, in migliaia di vie di fuga. E la collega con il rossetto fucsia parla, parla e non si accorge che intanto la donna con la borsa e il cellulare tra le dita piega una barchetta di carta e che i suoi tacchi 12 stanno per essere travolti da un rigagnolo…