Stai per raccomentarmela.
Accadeva ogni volta che ti sentivi sola, perché il tempo non è qualcosa che non si possa ribaltare anche solo con le parole.
Inizi sempre, più o meno, nello stesso modo. Con le labbra che si premono l'una contro l'altra. Col capo stanco che si piega. Con le mani ossute che si accarezzano l'un l'altra.
Io resto fuori da quelle labbra e da quelle mani. Mentre ti accarezzi, io resto fuori. Mi permetti solo di ascoltare e di guardare.
Tu racconti ed io ti vedo. Vedo te, bambina, su quel viale, sotto casa.
La tua voce è precisa: saltavo la corda. I miei occhi ti stanno guardando, non ti perdo d'occhio: un balzo dietro l'altro. Posso contare fino a tre.
Dici sempre così: mia madre l'ho vista in lontananza. Ed era maggio e non pioveva da tanti giorni. Un maggio caldo, un caldo da sudate e con la febbre alta che non passa. Un caldo da polmoniti che ci si muore in otto giorni. Un caldo che asciuga la terra e fa la strada polverosa.
Dici: mia madre aveva i capelli sciolti ed era strano, perché non li scioglieva mai. Le cadevano disordinati sulle spalle. Da lontano, io ho capito che lei piangeva.
Fai una pausa e insisti: da lontano, io bambina del cortile, per prima, mentre i miei fratelli continuavano a giocare... Io, bambina del cortile, l'ho capito. Ho capito che lei piangeva per lui che era morto.
Poi ti fermi e cerchi i miei occhi. Annuisci. Anche io annuisco sempre. Vuoi sapere se ti sto vedendo, se ti vedo mentre piangi anche tu, se ti vedo mentre sei bambina del cortile.
Mia madre piangeva, dici sempre, perché non si può morire a quarant'anni d'una polmonite, in maggio. E t'indigni, lo fai ogni volta.
A dieci anni questa scena io l'avrei saputa scrivere come la scrivo oggi. La vedevo come la vedo oggi. Con tua madre che piange con i capelli sciolti sul viale polveroso e intorno è maggio.
Eri da sola. I tuoi fratelli non contano niente, perché dopo non li hai più visti, per anni. Avresti voluto una sorella con te, una piccola figlia sorella.
Eri orfana. Poco più di sette anni e due gambette gracili che sanno a malapena saltare la corda. Gli occhi neri come la notte imparano subito a piangere.
Prima che madre, sei sempre stata orfana. Ed eri madre per tornarci, non più sola, su quel viale. Lo hai fatto appena hai potuto e ti sei portata dietro gli occhi di tua figlia.
Ci siamo tornate insieme in quel cortile, decine e decine di volte. Ed io ero più grande di te e ti reggevo la corda. Potevo solo guardare, ma a te andava bene soltanto tornarci. Rifare la strada insieme, in senso contrario. Non più sola.
In mezzo alla polvere di quel mese di maggio del 1934 abbiamo rifatto la strada, fermandoci sempre negli stessi punti, sugli stessi sassi.
Iniziavi piangere quando scorgevamo tua madre in lontananza, con i capelli sciolti e disordinati.Accadeva ogni volta che ti sentivi sola, perché il tempo non è qualcosa che non si possa ribaltare anche solo con le parole.